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domenica 29 gennaio 2012

Donne che odiano le donne


Non sopporto le donne che stravedono per gli uomini. Voglio dire, non sopporto quelle donne che farebbero di tutto per piacere a un uomo, per entrare nel suo campo visivo, per creare una relazione esclusiva con lui. Sono quelle che ti farebbero letteralmente lo sgambetto pur di raggiungere per prime l’oggetto del proprio desiderio.

Ce ne sono alcune che li vorrebbero tutti, non importa se gli piacciono o no. L’importante è dimostrare che in ogni caso gli uomini sceglierebbero loro e non un’altra donna, che sarebbero pronti a lasciare moglie e fidanzata pur di avere loro. Sono quelle passano la serata a cercare di catturare l’attenzione del tuo uomo, pronte ad approfittare di ogni attimo di distrazione per creare una situazione di intimità con lui lontano da te. Sono quelle che trovi, dopo che ti sei assentata solo 5 minuti per andare in bagno, reggere tra le proprie mani quella di tuo marito, sostenendo che certamente solo perché ora è sposato non vuol dire che non può più frequentare una vecchia amica. Sono quelle che poi gli scrivono mail dai toni ambigui (che naturalmente il tuo uomo, come tutti gli uomini, non coglie - ci fanno o ci sono?), dicendo che certamente voi non siete così “sciocche” da ingelosirvi solo perché lei è stata un po’ affettuosa a una festa.

Queste donne sono convinte che ogni uomo desidererebbe stare con loro, che voi siete solo un ripiego, ma che se potesse non avrebbe dubbi sul chi scegliere.  

Ci sono quelle che quando sono in conversazione con un uomo e un’altra donna guardano negli occhi solo l’uomo, ignorando l’altra se fa un commento ed escludendola totalmente. Sembra inverosimile, ma succede per davvero. La prima volta pensate che non abbiano sentito o che siano troppo infervorate dal discorso per udire la vostra voce tentare di inserire un commento nella conversazione. Dopo una serie di vani tentativi ammutolite, certe ormai del fatto che quelle vi stiano ignorando deliberatamente, del tutto intente a ipnotizzare il malcapitato e a sottolineare la totale irrilevanza delle vostre opinioni. In questi casi io di solito lascio perdere, non mi interessa fare a pugni con la virago di turno per ottenere l’attenzione esclusiva di un uomo e sgombro il campo. La mia filosofia è più da “siediti lungo la riva del fiume e aspetta: prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico” che da “lotta fino alla morte pur di averla vinta”.

Poi ci sono quelle che sembrano timide e innocue, vulnerabili e sensibili, sono sole, hanno bisogno di voi, di un’amica vera per superare le proprie insicurezze, per entrare finalmente in un gruppo di amici (il tuo) e passare qualche weekend in compagnia invece che a casa a guardare la tv. Loro un po’ vi ammirano e vi fanno sentire generose e magnanime a prendervi cura di casi umani simili. Quanto vi sbagliate. Appena si sentono un po’ sicure e, grazie a voi, hanno acquistato una posizione nel vostro gruppo (diventato ormai anche il loro), improvvisamente si trasformano nel vostro peggior nemico, organizzano serate senza coinvolgervi, nelle conversazioni non fanno altro che contraddirvi e fare commenti odiosi su quello che dite e fate, sottolineando i vostri errori e raccontando aneddoti imbarazzanti per mettervi in difficoltà davanti a tutti. Presente “Eva contro Eva”? Ecco la stessa cosa, sono le famose passive aggressive, che ti giocano con la loro finta fragilità. Se ci si mettono sono molto più forti di quello che credevate e vi colgono impreparate perché proprio tanta violenza non ve la aspettavate.

E ci anche sono quelle che desiderano sempre l’uomo di un’altra. Incapaci di tenersi un uomo tutto per sé, si innamorano proprio del tuo e fanno di tutto per portartelo via. Ma dov’è finita la solidarietà femminile? Forse non esiste o se esiste è molto rara, da tenere stretta e da coltivare.
È facile diventare questo tipo di donna se non si sta attente. È facile diventare “l’altra” di turno, quella che distrugge la vita di un’altra donna, convinta che i propri desideri e sentimenti siano di gran lunga più importanti dei suoi. Anche a me è capitato di essere quel tipo di donna una volta. E mi sono sentita così male dopo, quando ho realizzato quello che era successo e cioè che mi ero trasformata proprio in uno di quei cliché che tanto odiavo, che ho giurato a me stessa che non sarebbe mai più capitato.
È successo che mi sono presa una cotta per uno, che si era appena fidanzato con un’altra. Appena si è messo con lei, ho pensato che in realtà piaceva a me e che non era giusto che stesse con quell’altra.  Insomma, tanto ho fatto che sono riuscita a uscire con lui. Dopo di che lui ha lasciato l’altra senza spiegazioni e ci siamo frequentati per un po’. Mal me ne incolse. Si è rivelato uno stronzo incredibile, uno di quei narcisi che sembrano avere come unica missione quella di farvi sentire delle gigantesche m… Ma questa è un’altra storia. Alla fine di quello sciagurato mese in cui siamo usciti insieme, lui è tornato dall’altra, che nel frattempo non si spiegava il perché fosse stata così brutalmente mollata, e io sono rimasta lì a piangere, con la vanità ferita e il mio ego completamente devastato. Ben mi stava!  Mi ero trasformata proprio in quel tipo di donna che disprezzavo, che cerca di portare via la felicità altrui e che è solo capace di rendere terribilmente infelici sé e gli altri (poi so che i due sono rimasti insieme un bel po’, ma da anni non più notizie, non so se anche l’“altra” si sia poi resa conto di che schifo d’uomo era lui e se se ne sia infine liberata).

Sono cose che capitano, conosciuta una le hai conosciute tutte. Ce ne sono diverse varianti, quella bella e fatale, quella insicura e infelice, quella bruttina ma con argomenti, quella che ti si finge amica e quella che da subito ti dichiara guerra. Ci metti un po’ a realizzare che questi tipi di donna, quelli che odiano le altre donne e stravedono per gli uomini, esistono e che devi stare in guardia. Una volta acquisita questa consapevolezza impari a riconoscerle e tenerle alla larga.

Solo che a volte tenerle lontane è impossibile, te le ritrovi al lavoro e sono proprio quelle che cercano di farti le scarpe conquistando l’ammirazione del capo. Eccola lì, appena arrivata in ufficio, ti dispensa sorrisi con il coltello nascosto dietro la schiena. Questa volta io non intendo imbracciare le armi. Il mio capo non è mio marito e non devo lottare per essere la sua preferita. Credo che in questo caso starò attenta a non fare passi falsi e a non cadere nelle trappole e mi limiterò a comportarmi il più correttamente possibile, senza però farmi mettere i piedi in testa. Chissà se è vero che alla lunga fare quello che è giusto paga. Chissà se hanno ragione i cinese e che se aspetti sulla riva del fiume la corrente ti poterà i risultati della tua pazienza, dimostrandoti che nella vita “spesso è il nuotatore più forte che annega”. Vedremo. Intanto mi sfogo un po’ scrivendo sul blog.

giovedì 19 gennaio 2012

Giovedì

Di giovedì inizio a riconciliarmi con la settimana, inizio a ricordarmi del weeken, a pensare che venerdì sera ce ne stiamo tranquilli a casa io e P., che sabato mattina possiamo dormire e che alla sera vengono i nostri amici a cena.

Di giovedì inizio a pensare che in fondo non è così dura svegliarsi presto al mattino e andare a lavorare, che quello che faccio mi piace e che forse sono anche brava.

Di giovedì ho più voglia del solito di uscire la sera dopo il lavoro, di organizzare un aperitivo con le amiche, di andare a cena fuori, di accettare un invito dai suoceri.

Di giovedì sono più ottimista e piena di energie, nonostante la settimana sia inoltrata e la sera io sia molto stanca.

Di giovedì mi sembra che la vita vada in discesa, la parte difficile è stata superata e io posso guardare spensierata al weekend e anche dormire un po' meno stanotte.

Quando parcheggio la bici in cortile la sera il giovedì, tutte le volte penso con gioia improvvisa: "domani è venerdì!" e dentro di me sorrido mentre salgo le scale a due a due.

E' tutto il giorno che sono allegra e mi va di scriverlo. Una delle cose che amo è il giovedì, mi piace dedicargli un post.

giovedì 12 gennaio 2012

Pezzi di una vita fa


Ho sempre pensato quanto sia bello scrivere. Mettersi lì e riuscire a dire con le parole giuste tutto quello che ci passa per la testa, tutte le sensazioni che si provano, tutte le situazioni che si vivono.
Io non ci sono mai riuscita. Ogni volta che mi sono messa lì, penna alla mano, quaderno nuovo, perfetto per raccogliere racconti, pensieri, idee, percezioni, a mettere giù quello che desideravo esprimere a parole, restavo immancabilmente delusa. Rileggermi era sempre una tortura. Che stile bambinesco. Che modo elementare di esprimersi. Che frasi banali, melense, ripetitive. Che distanza tra quello che volevo dire e quello che ero riuscita a scrivere. E così dopo aver riempito una decina di pagine del mio bel quaderno, lo ficcavo in fondo alla cassapanca, nascosto perché nessuno potesse leggere i miei deliri.

Ieri sera stavo riesumando alcuni scatoloni abbandonati in cantina dopo il trasloco nella casa nuova e smistando gli oggetti ammucchiati e impolverati, ho trovato uno dei miei quaderni, uno piccolo, con la copertina di plastica nera e la spirale a lato. Era il quaderno che avevo cominciato a Oxford, seduta a uno dei tavolini dello Starbucks del centro di fronte alla scuola di inglese. È di più di quattro anni fa, di quel periodo in cui la malinconia e la solitudine a volte mi sopraffacevano, sentivo il tempo scorrere senza scopo, avevo bisogno di scrivere quello che facevo e vedevo per fissarlo sulla carta, per renderlo vero, reale, utile.
Era il periodo prima che iniziasse il mio flirt con C. “C. mi scrive messaggi tutti i giorni, mi scrive quello che fa, mi augura il buongiorno e la buonanotte”, ho letto nel quaderno. È un periodo lontanissimo o almeno sembra a me lontanissimo per tutto quello che è successo dopo.

C.... Adesso non ci sentiamo mai, non avrei più il coraggio di scrivergli e penso nemmeno lui. Allora però era così tra di noi, ci scrivevamo messaggi tutti i giorni. Cominciava sempre lui. Non scriveva niente di che, niente romanticherie o frasi da lumacone. Si faceva semplicemente sentire, mi faceva capire che mi pensava, tutti i giorni, in tantissimi momenti del giorno, dal mattino fino a quando andava a dormire.
Eravamo amici da una vita, le chiacchiere con C. erano sempre un piacere, era un amico fidato, cui raccontare dei ragazzi, dell’università, dei progetti. Parlavamo per ore davanti a una cena o a un aperitivo, niente smancerie tra di noi. All’improvviso ha cominciato a scrivermi più spesso, a telefonarmi ogni tanto per sapere come stavo. Ho iniziato ad abituarmi alla sua presenza costante. Se avesse smesso di scrivermi avrei avvertito un vuoto nella mia esistenza. Ma lui non smetteva mai, aveva tutti i giorni qualcosa da dirmi, da chiedermi.
Rileggere quelle righe di un periodo così lontano nel tempo mi ha fatto effetto. Ricordo di averle rilette una volta scritte e di avere pensato come al solito che non mi piacevano, che non corrispondevano affatto a quello che avevo nella testa e nel cuore.

Rileggendole oggi invece sono riuscita a tornare con le mente a quel tavolino dello Starbucks sul quale scrivevo e a ricostruire la sensazione di isolamento assoluto e di costante inquietudine nella quale ero immersa ogni giorno. Rivedo la luce del sole che illumina il tavolino rotondo di legno e la finestra ampia che dà sul corso principale di Oxford, i ragazzi seduti sui divani comodi, morbidi, che bevono da tazze formato extralarge. Io seduta accanto alla parete scrivo concentrata, i libri di inglese appoggiati accanto al quaderno e un bicchierone di caffè bollente, come nei telefilm americani.

Ho rivissuto il brivido provocato dalla situazione con C., la leggerezza con cui accoglievo la sua assiduità e il piacere di sentirmi al centro della sua attenzione. L’idea di C. mi dava sollievo, mi faceva compagnia, scacciava per un attimo i pensieri tristi e le angosce che mi seguivano ovunque come ombre. Lo ricordo adesso come se fosse ieri. Per tanto tempo non ci avevo più pensato, avevo quasi dimenticato quei giorni a Oxford e quella tristezza. Mi ero scordata di quella specie di esaltazione con la quale accoglievo i messaggi di C. e che rompeva la monotonia delle mie giornate. Iniziavo a concepire la possibilità che la nostra amicizia si stesse trasformando in qualcos’altro, un’idea proibita ed emozionante. C. pensava a me, tutti i giorni. C. aveva voglia di vedermi. Ci saremmo rivisti presto, era quasi settembre e io sarei tornata a casa. Mi avrebbe certamente chiesto di uscire con lui per una pizza o un bicchiere di vino.

Leggere quel quaderno mi ha fatto ritornare indietro nel tempo a quel momento in cui tutto era immobile e una cosa piccola come quella con C. mi distraeva dalla mia tristezza. Leggendo riuscivo perfettamente a immedesimarmi nella vecchia me e a rievocare le sensazioni dimenticate. L’ho letto avidamente, con curiosità, come se si trattasse di un racconto appassionante. A un certo punto però la scrittura si interrompe, il quaderno si fa bianco. L’ho abbandonato dopo solo nove pagine. Nove pagine fitte fitte di parole e poi più niente. Sono rimasta lì come una scema a fissare il vuoto. Mi sentivo come alla fine di un libro seriale, che si interrompe sul più bello e che ti lascia lì a desiderare che esca al più presto il seguito. Sono rimasta a pensare a che cosa è accaduto dopo. Il ricordo è diventato di colpo molto più sbiadito. Non mi viene in mente esattamente che cosa è successo la prima volta che ci siamo visti dopo Oxford. Non mi ricordo come ci siamo guardati, come ci siamo parlati dopo quell’estate dai dieci messaggi al giorno. Ricordo solo che C. è servito da psicofarmaco in un momento di fragilità, ha tamponato per un breve periodo una ferita che non è comunque riuscito a rimarginare. Non ricordo nessun dettaglio, solo che dopo esserci brevemente sfiorati, ci siamo lasciati senza più ritrovarci, nè rimpiangerci. Chiudendo il quaderno ho provato un senso di leggera frustrazione. Ho desiderato intensamente di non aver smesso di scrivere.

martedì 10 gennaio 2012

Cose da fare e non fare nel 2012 (ovvero i banalissimi buoni propositi per il nuovo anno)

in ordine sparso...

- scrivere, scrivere molto, scrivere senza filtri, cercando di essere sincera il più possibile

- non lamentarmi mai (almeno provarci) per le piccole cose fastidiose della vita: svegliarsi presto, lavorare tutti i giorni, non avere il tempo per dedicarmi completamente alle cose che amo, stirare il cumulo di roba che si è ammassato nella cesta dopo i bucati post-viaggio, andare all'ufficio postale più lontano in assoluto da casa mia a ritirare una raccomandata che la portinaia ha rispedito indietro perchè ancora non riesce a ricordarsi il mio cognome, fare lo slalom tra le macchine parcheggiate sulla pista ciclabile, non uccidere il vicino di casa che si diletta ogni sera con il CANTATU, ho già detto stirare? 

- cercare di pensare a tutto quello che ho, prima di iniziare le lamentele di cui sopra, e godermi il più possibile i weekend, le serate a casa, i viaggi, le cene fuori, i libri, le coccole, le chiacchiere con le amiche, i film, i pranzi in famiglia e tutti i momenti belli della vita

-  curare il blog


- non scrivere mai sul blog dal lavoro (ci provo)

- cercare di dire il più possibile quello che penso senza preoccuparmi dei giudizi degli altri (su questo ancora faccio fatica)

- telefonare più spesso alla mia migliore amica

-  organizzare, per davvero quest'anno, il rendez-vous con le mie amiche erasmus

- non stressarmi per questioni di lavoro, pensare che è una parte quantitativamente rilevante della mia vita, ma qualitativamente trascurabile

- coltivare la speranza, ingrediente fondamentale per essere felici, e fare tutto ciò che è in mio potere per realizzare quello che desidero per il mio futuro

- non fare la mogliettina fissata con l'ordine e la pulizia e fare vivere a P. un'atmosfera domestica felice e rilassata

- non drogarmi di serie tv americane  

- andare a letto più presto

- arrabbiarmi il meno possibile con il prossimo (nel 99% dei casi non ne vale la pena)

- ritagliarmi ogni sera un momento per me, per leggere o scrivere o mettere lo smalto, senza per forza andare a letto alle 2 

giovedì 22 dicembre 2011

10 riflessioni di una neo-trentenne

1) 20 anni fa mi immaginavo a 30 anni vecchia e decrepita, la mia vita ormai al tramonto. 30 anni quando ne hai dieci è un’età avanzata e per niente interessante. Non si è mai vista nessuna eroina di nessun libro e di nessun cartone che avesse TRENT’ANNI! Ariel, la mia preferita, ne aveva appena 16.

2) 10 anni fa a 30 mi vedevo donna manager, con un lavoro nella comunicazione, una casa stile upper west side e un armadio pieno di tailleur. Chiaramente anche moglie felice di un avvocato di successo.

3) 7 anni fa a 30 anni mi immaginavo in Francia, possibilmente a Parigi, sposata con un francese e con bambini belli e biondi, come solo i figli dei francesi, con un lavoro in un’organizzazione internazionale e un accento francese perfetto (l’invasamento per la Francia derivava da un anno universitario passato in territori transalpini e un fugace innamoramento per un giovane parigino).

4) 4 anni fa a 30 mi vedevo single incallita, abituée del sushi d’asporto (per 1 per favore), damigella d’onore di tutte le mie amiche nel frattempo sposate e madri felici, sola e malinconica, in perenne attesa del ritorno del grande amore del passato, sempre rimpianto e scioccamente perduto (per correre dietro al francese di cui sopra).

5) 2 anni fa ho smesso di chiedermi come sarei stata a 30, ho smesso di pianificare il mio futuro in ogni minimo dettaglio, avendo imparato che la vita non va esattamente come la immagini a 20 anni né come la progetti a 25, tenendomi stretto quello che mi ero faticosamente conquistata e munendomi della speranza (fondamentale, non smetterò  mai di ripeterlo) di ottenere quello che più desidero dalla vita.

6) 6 mesi fa, in una fresca mattina d’estate, mi sono sposata con l’uomo che ho scelto come compagno di vita, che ho avuto al mio fianco per anni senza saperlo e che mi ha regalato la felicità. Senza di lui non sarei quella che sono oggi, a 30 anni e 2 giorni suonati, e non sentirei di avere trovato il mio posto nel mondo.

7) 3 giorni fa, avevo ancora 29 anni, se qualcuno me lo avesse chiesto, avrei potuto rispondere orgogliosamente: 29!!!

8) oggi mi sento esattamente come 3 giorni fa. Quanti anni hai? 30… No, non è proprio come 3 giorni fa, ma per fortuna ho scoperto libri con eroine le cui trentennali esistenze sono sorprendentemente interessanti (quasi quanto quella della sedicenne Ariel).

9) chissà come si sentono le altre trentenni, le mie amiche e tutte le altre, se sono esattamente come si immaginavano da piccole, se hanno realizzato i progetti che avevano a 20 anni, se hanno capito quello che vogliono, se lo stanno cercando, se lo hanno trovato?

10) quanti anni hai? 30… no dai, è difficile da mandare giù, ma lo ammetterò solo su questo blog, atteggiandomi fuori di qui a splendida trentenne.

lunedì 19 dicembre 2011

Se fosse sempre domenica


È davvero dura il lunedì, soprattutto d’inverno. Il weekend passato come un razzo, il piumone caldo da lasciare per gettarsi nel freddo pungente della città. L’atmosfera ovattata e avvolgente della casa vs il caos rumoroso del traffico e l’aria gelata tra i capelli. Oggi però è un po’ più facile del solito, il weekend è stato natalizio e pieno di cose belle e questa nuova settimana finisce con le vacanze di Natale. Meglio di così!

Pedalando questa mattina ho pensato alla cena con i colleghi di sabato sera, una noia mortale a cui ho trascinato P. Siamo finiti nella parte più sfigata del tavolo, con i “vecchi” con cui non abbiamo niente in comune e niente da dire, a inventare argomenti per alimentare una conversazione zoppicante e imbarazzata. Poi il vino ha aiutato a sciogliere un po’ le lingue e la mia vicina di tavolo ha iniziato a raccontarmi dei tempi della guerra, quando guardava gli aerei bombardare la città dal campanile della chiesa anziché scappare nei rifugi (sì quando dicevo “vecchi” intendevo proprio vecchi). Guardavo P. barcamenarsi tra osservazioni sul tempo e argomenti di attualità. Ho apprezzato il suo sangue freddo.

La domenica l’abbiamo passata a casa. È il nostro primo Natale da sposati ed è il primo che passiamo nella nostra casa. Abbiamo fatto il nostro primo albero e il presepe (entrambi minuscoli)
 e abbiamo messo tutti i pacchetti intorno all’albero. Il regalo per P. è talmente grande che quasi sovrasta l’albero di Natale mignon. È la prima volta che mi sento così. Abitavo in una casa tutta mia prima, ma ero da sola e il periodo di Natale lo passavo sempre dai miei, abbandonando il mio monolocale alla sua solitudine. Questa volta la casa la sento veramente mia, nostra, sono stata così felice di addobbarla e di renderla pronta per il Natale. È la prima volta che mi sento al posto giusto nel momento giusto, è una sensazione nuova e piacevole. Mi sono sempre sentita o troppo giovane o troppo vecchia per fare qualcosa, ma questa volta è il momento giusto per fare quello che faccio, per vivere quello che vivo.

Oggi ricomincia la settimana, è dura ma questo lunedì sono piena di energia. Pedalando questa mattina non mi sono arrabbiata nemmeno una volta. Domani è il mio compleanno e venerdì cominciano le vacanze.

martedì 6 dicembre 2011

Segreti


Ognuno di noi ha un segreto, qualcosa di non detto che teniamo dentro, un pensiero ricorrente che spunta fuori quando non vorremmo, un ricordo che ritorna in sogno durante la notte e il mattino ci lascia con una strana sensazione di stupore, di leggera inquietudine.

Può essere una persona che non vediamo da tanto, che abbiamo abbandonato o che ci ha abbandonato, e che ricordiamo nostro malgrado con una punta di malinconia, in certi casi con angoscia, se la distanza tra il presente e il passato è ancora troppo breve e il tempo non ha ancora agito da lima sulle parti ruvide della nostra memoria.

Può essere qualcosa che abbiamo fatto, di cui non andiamo fieri, che non abbiamo mai detto a nessuno, che abbiamo confessato solo a chi ci conosce appena, che non ripeteremmo mai a chi ci sta accanto ogni giorno e che vorremmo dimenticare.

Può essere qualcosa che proviamo, un dolore che non sappiamo spiegare, un desiderio irraggiungibile, una voglia inespressa, un progetto che vorremmo realizzare, ma di cui non parliamo per non essere giudicati, perché nessuno possa dire: “guarda, non ce l’ha fatta”.

Stamattina mi sono svegliata con questa idea in testa. È per il sogno che ho fatto, lungo e pieno di rimandi al mio passato, a persone e a cose che sono fuori dalla mia vita da anni. Quella parte di noi che non possiamo controllare e che cerchiamo in alcuni casi di rimuovere, torna fuori inaspettatamente nei sogni, così vivida e intensa da sembrare reale. Pedalando verso il lavoro pensavo: succede solo a me o è qualcosa che succede a tutti di avere una parte nascosta, che riemerge a tratti, fa capolino brevemente per poi sparire di nuovo sommersa dalla routine giornaliera e dai nuovi pensieri della vita? Mi chiedo se succede anche a M. , la mia migliore amica, che ha la vita apparentemente più lineare e priva di misteri che mi venga in mente. Succede sicuramente a mia mamma, che non parla di quello che la inquieta, se non quando è passato e lontano. Succede a mio padre che dice così poco di sé, che non ho mai sentito parlare apertamente di uno stato d’animo, di una delusione o di una gioia. E a P. succede? Che vive accanto a me ogni giorno e di cui conosco ogni espressione e di cui noto ogni cambiamento di umore? Cosa pensa quando ha quell’aria assorta e io muoio dalla voglia di chiedergli “ma a cosa pensi?”?
Credo che sia vero quando si dice che non si può mai conoscere fino in fondo una persona, anche se la si ama profondamente, anche se c’è un rapporto di totale intimità e confidenza. C’è sempre di mezzo il non detto, quello che si pensa solo, che si sente dentro e che si preferisce lasciare dov’è. E in certi casi è davvero meglio che resti dov’è, nel passato e nel mondo dei sogni.