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giovedì 22 dicembre 2011

10 riflessioni di una neo-trentenne

1) 20 anni fa mi immaginavo a 30 anni vecchia e decrepita, la mia vita ormai al tramonto. 30 anni quando ne hai dieci è un’età avanzata e per niente interessante. Non si è mai vista nessuna eroina di nessun libro e di nessun cartone che avesse TRENT’ANNI! Ariel, la mia preferita, ne aveva appena 16.

2) 10 anni fa a 30 mi vedevo donna manager, con un lavoro nella comunicazione, una casa stile upper west side e un armadio pieno di tailleur. Chiaramente anche moglie felice di un avvocato di successo.

3) 7 anni fa a 30 anni mi immaginavo in Francia, possibilmente a Parigi, sposata con un francese e con bambini belli e biondi, come solo i figli dei francesi, con un lavoro in un’organizzazione internazionale e un accento francese perfetto (l’invasamento per la Francia derivava da un anno universitario passato in territori transalpini e un fugace innamoramento per un giovane parigino).

4) 4 anni fa a 30 mi vedevo single incallita, abituée del sushi d’asporto (per 1 per favore), damigella d’onore di tutte le mie amiche nel frattempo sposate e madri felici, sola e malinconica, in perenne attesa del ritorno del grande amore del passato, sempre rimpianto e scioccamente perduto (per correre dietro al francese di cui sopra).

5) 2 anni fa ho smesso di chiedermi come sarei stata a 30, ho smesso di pianificare il mio futuro in ogni minimo dettaglio, avendo imparato che la vita non va esattamente come la immagini a 20 anni né come la progetti a 25, tenendomi stretto quello che mi ero faticosamente conquistata e munendomi della speranza (fondamentale, non smetterò  mai di ripeterlo) di ottenere quello che più desidero dalla vita.

6) 6 mesi fa, in una fresca mattina d’estate, mi sono sposata con l’uomo che ho scelto come compagno di vita, che ho avuto al mio fianco per anni senza saperlo e che mi ha regalato la felicità. Senza di lui non sarei quella che sono oggi, a 30 anni e 2 giorni suonati, e non sentirei di avere trovato il mio posto nel mondo.

7) 3 giorni fa, avevo ancora 29 anni, se qualcuno me lo avesse chiesto, avrei potuto rispondere orgogliosamente: 29!!!

8) oggi mi sento esattamente come 3 giorni fa. Quanti anni hai? 30… No, non è proprio come 3 giorni fa, ma per fortuna ho scoperto libri con eroine le cui trentennali esistenze sono sorprendentemente interessanti (quasi quanto quella della sedicenne Ariel).

9) chissà come si sentono le altre trentenni, le mie amiche e tutte le altre, se sono esattamente come si immaginavano da piccole, se hanno realizzato i progetti che avevano a 20 anni, se hanno capito quello che vogliono, se lo stanno cercando, se lo hanno trovato?

10) quanti anni hai? 30… no dai, è difficile da mandare giù, ma lo ammetterò solo su questo blog, atteggiandomi fuori di qui a splendida trentenne.

lunedì 19 dicembre 2011

Se fosse sempre domenica


È davvero dura il lunedì, soprattutto d’inverno. Il weekend passato come un razzo, il piumone caldo da lasciare per gettarsi nel freddo pungente della città. L’atmosfera ovattata e avvolgente della casa vs il caos rumoroso del traffico e l’aria gelata tra i capelli. Oggi però è un po’ più facile del solito, il weekend è stato natalizio e pieno di cose belle e questa nuova settimana finisce con le vacanze di Natale. Meglio di così!

Pedalando questa mattina ho pensato alla cena con i colleghi di sabato sera, una noia mortale a cui ho trascinato P. Siamo finiti nella parte più sfigata del tavolo, con i “vecchi” con cui non abbiamo niente in comune e niente da dire, a inventare argomenti per alimentare una conversazione zoppicante e imbarazzata. Poi il vino ha aiutato a sciogliere un po’ le lingue e la mia vicina di tavolo ha iniziato a raccontarmi dei tempi della guerra, quando guardava gli aerei bombardare la città dal campanile della chiesa anziché scappare nei rifugi (sì quando dicevo “vecchi” intendevo proprio vecchi). Guardavo P. barcamenarsi tra osservazioni sul tempo e argomenti di attualità. Ho apprezzato il suo sangue freddo.

La domenica l’abbiamo passata a casa. È il nostro primo Natale da sposati ed è il primo che passiamo nella nostra casa. Abbiamo fatto il nostro primo albero e il presepe (entrambi minuscoli)
 e abbiamo messo tutti i pacchetti intorno all’albero. Il regalo per P. è talmente grande che quasi sovrasta l’albero di Natale mignon. È la prima volta che mi sento così. Abitavo in una casa tutta mia prima, ma ero da sola e il periodo di Natale lo passavo sempre dai miei, abbandonando il mio monolocale alla sua solitudine. Questa volta la casa la sento veramente mia, nostra, sono stata così felice di addobbarla e di renderla pronta per il Natale. È la prima volta che mi sento al posto giusto nel momento giusto, è una sensazione nuova e piacevole. Mi sono sempre sentita o troppo giovane o troppo vecchia per fare qualcosa, ma questa volta è il momento giusto per fare quello che faccio, per vivere quello che vivo.

Oggi ricomincia la settimana, è dura ma questo lunedì sono piena di energia. Pedalando questa mattina non mi sono arrabbiata nemmeno una volta. Domani è il mio compleanno e venerdì cominciano le vacanze.

martedì 6 dicembre 2011

Segreti


Ognuno di noi ha un segreto, qualcosa di non detto che teniamo dentro, un pensiero ricorrente che spunta fuori quando non vorremmo, un ricordo che ritorna in sogno durante la notte e il mattino ci lascia con una strana sensazione di stupore, di leggera inquietudine.

Può essere una persona che non vediamo da tanto, che abbiamo abbandonato o che ci ha abbandonato, e che ricordiamo nostro malgrado con una punta di malinconia, in certi casi con angoscia, se la distanza tra il presente e il passato è ancora troppo breve e il tempo non ha ancora agito da lima sulle parti ruvide della nostra memoria.

Può essere qualcosa che abbiamo fatto, di cui non andiamo fieri, che non abbiamo mai detto a nessuno, che abbiamo confessato solo a chi ci conosce appena, che non ripeteremmo mai a chi ci sta accanto ogni giorno e che vorremmo dimenticare.

Può essere qualcosa che proviamo, un dolore che non sappiamo spiegare, un desiderio irraggiungibile, una voglia inespressa, un progetto che vorremmo realizzare, ma di cui non parliamo per non essere giudicati, perché nessuno possa dire: “guarda, non ce l’ha fatta”.

Stamattina mi sono svegliata con questa idea in testa. È per il sogno che ho fatto, lungo e pieno di rimandi al mio passato, a persone e a cose che sono fuori dalla mia vita da anni. Quella parte di noi che non possiamo controllare e che cerchiamo in alcuni casi di rimuovere, torna fuori inaspettatamente nei sogni, così vivida e intensa da sembrare reale. Pedalando verso il lavoro pensavo: succede solo a me o è qualcosa che succede a tutti di avere una parte nascosta, che riemerge a tratti, fa capolino brevemente per poi sparire di nuovo sommersa dalla routine giornaliera e dai nuovi pensieri della vita? Mi chiedo se succede anche a M. , la mia migliore amica, che ha la vita apparentemente più lineare e priva di misteri che mi venga in mente. Succede sicuramente a mia mamma, che non parla di quello che la inquieta, se non quando è passato e lontano. Succede a mio padre che dice così poco di sé, che non ho mai sentito parlare apertamente di uno stato d’animo, di una delusione o di una gioia. E a P. succede? Che vive accanto a me ogni giorno e di cui conosco ogni espressione e di cui noto ogni cambiamento di umore? Cosa pensa quando ha quell’aria assorta e io muoio dalla voglia di chiedergli “ma a cosa pensi?”?
Credo che sia vero quando si dice che non si può mai conoscere fino in fondo una persona, anche se la si ama profondamente, anche se c’è un rapporto di totale intimità e confidenza. C’è sempre di mezzo il non detto, quello che si pensa solo, che si sente dentro e che si preferisce lasciare dov’è. E in certi casi è davvero meglio che resti dov’è, nel passato e nel mondo dei sogni.

venerdì 2 dicembre 2011

Felicità imperfetta

7.15. prima sveglia (sua)
7.30. seconda sveglia (sempre sua)
7.35 terza sveglia (mia)
A questo punto dobbiamo alzarci, è il momento più difficile della giornata, poi tutto il resto in confronto è una passeggiata.
Mi lavo, rifaccio il letto e mentre finisco di rincalzare il piumone sento: “pronto!”. È pronto il caffè. Facciamo colazione in silenzio, la regola della mattina è: non fare (assolutamente) conversazione. Finiamo quasi contemporaneamente, siamo una macchina ormai collaudata, P. lava le tazze e io chiudo i pacchi di biscotti e il barattolo del caffè.
Trucco, parrucco, vestiti, “io vado!”, “bacino, buona giornata!” “a stasera” “non vedo l’ora”, cappotto, sciarpa, guanti, paraorecchie e via, fuori nel freddo”. Inforco la bici e regolarmente mi dico “con calma, non è il tour-de-france, non vale la pena rischiare la pelle per guadagnare 5 minuti”. Ma come ogni mattina mi riprende la frenesia, al semaforo mi supera il solito ciclista che poi va a 2 all’ora e che non riesci a superare. “calma, che ti frega, fra un po’ gira…”. Ma no niente, mi parte l’embolo, lo supero rischiando la vita e mentalmente lo insulto. E dire che tutti mi trovano una persona tanto dolce. Forse non mi hanno mai vista di prima mattina in biciletta.
20 minuti di spinning e arrivo al lavoro tutta sudata. “Ma possibile, pure con 5 gradi devo arrivare in questo stato…”. Entro nel giardino e mi calmo. Il fatto di lavorare in un posto con un giardino è un gran vantaggio. La nebbia mattutina che in questi giorni ha invaso la città nel giardino scompare. Saranno gli alberi, i mucchi di foglie secche, gli uccellini che cantano, l’odore della terra un po’ umida, ma questo giardino ha un potere calmante su di me, quasi magico, che mi rilassa.
Il lavoro è ogni giorno diverso, è nuovo per me, adoro lavorare in un ufficio, avere una scrivania che non sia quella di casa e avere degli orari da rispettare. Ho dei colleghi! La cosa mi manda in deliquio. Per anni ho vissuto nel magma di un “lavoro” quasi completamente autogestito direttamente da camera mia. Non ha proprio funzionato.

Se va bene alle 6 sono di nuovo sulla mia bici, questa volta più tranquilla (ma non troppo, la sfida al ritorno è superare l’autobus che va più lento di una lumaca e si ferma ogni 10 metri) alla volta di casa. Casa-palestra(se è lunedì o mercoledì)-di nuovo casa. Arriva P., prepariamo la cena. I primi giorni insieme la pasta alle zucchine era il piatto forte, con le varianti zucchine-peperoni, zucchine-melanzane, zucchine-peperoni-melanzane. Adesso ci siamo leggermente evoluti, abbiamo anche un libro di ricette (sì lo ammetto ho comprato cotto e mangiato) e ora a cena dai noi compaiono pietanze nuove e anche verdure diverse dalle zucchine & co.

Dopo cena, quando siamo a casa, è tutto un programma, chi stira, chi si guarda un telefilm americano della peggior specie (ho finito tutte le puntate in streaming ENG SUB ITA di gossip girl e pretty little liars, e adesso cosa guardo?), chi si sorbisce tutta la puntata di ballarò, chi dovrebbe scegliere le foto da mettere nell’album di nozze (“ma come non le hai ancora scelte? È dicembre ormai!!!”) e invece guarda i video di misstrawberryfields su youtube, chi legge i quotidiani di oggi (“e anche quello di ieri, che ieri non ho avuto tempo”), chi si mette lo smalto, chi suona la chitarra, chi mangia la frutta, chi - preda di un raptus improvviso - sprimaccia i cuscini del divano, fa sparire i giardinetti di roba ammucchiata sul tavolo in sala, spolvera il pianoforte con lo swiffer e protesta perché la casa è in un disordine totale[1].

Dopo aver cincischiato e rimandato il più possibile il momento di andare a letto (domani quando suonerà la sveglia rimpiangerò amaramente questo errore, ma ogni sera me ne dimentico), ci infiliamo sotto il piumone, due coccole al calduccio e poi: “buonanotte amore” “buonanotte P.”. Tempo un minuto e P. è già nel mondo nei sogni. Io afferro il mio libro e leggo un po’. È uno dei miei momenti preferiti e cerco di farlo durare il più a lungo possibile. Ma la lotta contro il sonno, ora che lavoro, è impari. Spengo la luce e scivolo sotto le coltri. Allungo una mano e tocco un attimo P. dormiente sulla spalla, giusto per assicurarmi che sia sempre lì.
È questo il momento in cui penso che forse questa giornata non è stata niente di speciale e che oggi mi sono lamentata più volte per molte cose diverse. Però, mentre cedo dolcemente al sonno, mi pervade una vaga sensazione di gratitudine e penso che una volta me la sarei sognata una giornata così.



[1] Tutte le attività socialmente inutili sono le mie, compreso lo swiffer.

martedì 29 novembre 2011

Pilot


In poco più di due anni ho cambiato radicalmente la mia vita, mi sono fidanza, sposata, ho trovato un nuovo lavoro. Prima di questi eventi mi ricordo solo tristezza e desolazione, depressione e singletudine croniche, una vita immobile e sempre uguale per 3 (no  sto barando, quasi 4) lunghi(ssimi) anni. Cause di questi mali: un grande amore finito male e una scelta di carriera e di vita sbagliata, di cui mi sentivo prigioniera e che mi sembrava impossibile abbandonare senza deludere le aspettative di tutti, comprese le mie.
Elenco delle cose che ho imparato:

- prima di tutto: capire quello che sei

(e di conseguenza quello che non sei. Esempio: all’università desideravo vagamente di diventare una di quelle donne in carriera, tutta lavoro e tacchi a spillo. Non sono un tipo così e non desidero una vita così, mi ci sono voluti anni a capirlo)

- secondo: non avere paura di ammetterlo

(e non è facile ammetterlo soprattutto a se stessi. Se hai sempre creduto di essere un tipo di persona, entri in crisi quando i fatti e le tue reazioni alle cose ti dimostrano l’esatto contrario)

- terzo: capire quello che vuoi

(quello che vuoi più di tutto, quello di cui ti importa davvero, per cui vale la pena vivere. Fino a che non ho fatto chiarezza su questo ho reso profondamente infelici me e gli altri)

- quarto: capire come fare per ottenerlo

(e non avere paura di cambiare rotta per farlo. qui non è sempre immediato. Bisogna partire con i piccoli passi e i fatti concreti, senza perdere di vista l’obiettivo finale)

- quinto: mai perdere la speranza

(questo l’ho imparato dal mio amico G., che è la persona con più speranza nel futuro e fiducia nella vita che conosco. A lui va sempre di culo, quindi ho pensato: potrei provarci anche io. funziona!)

Quando ho capito che il mio sogno più grande non era rendere fieri mamma e papà intraprendendo una luminosa carriera accademica, né far rodere d’invidia amiche e nemiche diventando il prototipo della donna di successo, ma più banalmente diventare una persona serena che si sveglia la mattina contenta della sua vita e soddisfatta delle (piccole) cose che ne fanno parte, è stata una rivelazione.
A quel punto il più era fatto. Abbandonare ciò che mi rendeva infelice e perseguire la felicità per quanto mi era possibile è stata la scelta più naturale.